Cassazione: sì al sequestro del cellulare a chi scatta foto di nascosto
Per la Suprema Corte può arrecare molestia chi riprende di nascosto, anche se la persona offesa non si accorge di nulla, in quanto l’art. 660 c.p. tutela la tranquillità pubblica
Il comportamento di chi riprende o scatta con il cellulare alcune e sporadiche fotografie senza il consenso del soggetto ripreso è idoneo a configurare il reato di cui all’art. 660 c.p. (Molestia o disturbo alle persone) ed è dunque ammissibile il sequestro probatorio del cellulare.
Ciò anche laddove la persona ritratta non si renda conto di essere ripresa, in quanto la norma tutela la tranquillità pubblica per l’incidenza che il suo turbamento ha sull’ordine pubblico
Lo ha precisato la Corte di Cassazione, prima sezione penale, nella sentenza n. 9446/2018 (qui sotto allegata), respingendo il ricorso avanzato da un uomo, indagato del reato di molestia.
La vicenda
Il Tribunale di Palermo aveva confermato, con ordinanza, il decreto di convalida emesso dal P.M. relativo al sequestro probatorio del telefono cellulare dell’indagato che era stato “beccato” dagli agenti della vigilanza in un supermercato, seduto su una carrozzina per disabili, intento a seguire e a riprendere una giovane donna con il suo telefono cellulare.
Sul punto, giudice a quo è chiamato a verificare l’astratta configurabilità del reato ipotizzato valutandone il fumus in relazione alla congruità degli elementi rappresentati e si tratta di una valutazione che non avviene nella prospettiva di un giudizio di merito sulla concreta fondatezza dell’accusa, ma con esclusivo riferimento alla idoneità degli elementi, su cui si fonda la notizia di reato, a rendere utili ulteriori indagini, non altrimenti esperibili senza la sottrazione del bene all’indagato.
Secondo il giudice, nel caso di specie l’accusa aveva correttamente ipotizzato la sussistenza del reato di molestia o disturbo alle persone e, pertanto, era stata ritenuta lanatura di corpo di reato della res in sequestro, nonché della necessità di mantenimento del vincolo reale ai fini delle indagini, in particolare per accertare la presenza di documenti fotografici della donna all’interno del telefono cellulare.
Cassazione: chi riprende e scatta foto di nascosto reca molestia alle persone
Inutile per l’indagato il ricorso in Cassazione lamentando l’insussistenza dei presupposti per configurare la contravvenzione ipotizzata. La difesa sostiene che la condotta asseritamente posta in essere dall’indagato non aveva invaso la libera determinazione della persona offesa, nè aveva recato molestia o disturbo alla stessa.
Il ricorrente deduce come erano stati eseguiti pochi e sporadici scatti fotografici, di cui la persona ritratta neppure si era accorta (la denuncia era stata sporta in base a quanto osservato dai vigilanti addetti alla sicurezza del supermercato), ragione per la quale non era ipotizzabile nessuna lesione alla tranquillità personale “bene giuridico tutelato dalla norma contestata”.
Tuttavia, osserva la Cassazione ritenendo infondata l’impugnazione, nel caso di specie il provvedimento impugnato non è affatto immotivato e le ragioni che lo sostengono sono oggetto di illustrazione coerente, comprensibile e giuridicamente corretta.
Difatti, in materia di molestia o di disturbo alle persone, l’art. 660 c.p. è teso a perseguire quei comportamenti astrattamente idonei a suscitare nella persona direttamente offesa, ma anche nella gente, reazioni violente o moti di disgusto o di ribellione, che influiscono negativamente sul bene giuridico tutelato che è l’ordine pubblico.
Oggetto di tutela da parte della norma è dunque la tranquillità pubblica, mentre l’interesse privato individuale riceve una protezione soltanto riflessa, sicché la tutela penale viene accordata anche senza e pur contro la volontà delle persone molestate.
Come precedentemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, ai fini della sussistenza del reato previsto dall’art. 660 c.p., la molestia o il disturbo devono essere valutati con riferimento alla psicologia normale media, in relazione cioè al modo di sentire e di vivere comune.
Sicché, nel caso in cui il fatto sia oggettivamente molesto o disturbatore, è del tutto irrilevante che la persona offesa non abbia risentito alcun fastidio.
Dunque, l’ordinanza impugnata, che ha ritenuto sussistente il fumus del reato, stimando il fatto come rappresentato nella sua oggettività (che nemmeno il ricorrente contesta) idoneo a integrare l’interferenza momentanea nella tranquillità del privato, indipendentemente dalla percezione del soggetto fotografato, si sottrae alla censura circa la non configurabilità, nemmeno in astratto, della contravvenzione ipotizzata.