L’Italia e il Cinema al 68° Film Festival di Berlino, stasera la consegna dei premi
Esplorare le diversità alla ricerca della comprensione, della tolleranza e della identità: per Dieter Kosslick, direttore della Berlinale, è questo l’obiettivo di uno del più grande evento dedicato al pubblico e al cinema. La 68° edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino, è iniziata il 15 febbraio scorso e si concluderà domani, 25 febbraio. Stasera la consegna dei premi, gli orsi d’oro e d’argento. La diretta dal Palazzo del Cinema al Potsdamer Platz sarà visibile in streaming sul sito internet del festival, www.berlinale.de. La giuria internazionale è quest’anno presieduta dal regista-produttore Tom Tykwer.
I film italiani non sono mancati e, anzi, figurano nelle principali sezioni, compresa quella competitiva.
Quattro i lungometraggi: Laura Bispuri con Figlia mia è nella sezione Competition. Poi, nella sezione del Culinary Cinema, Lorello e Brunello di Jacopo Quadri; due i film nella sezione Panorama, La terra dell’abbastanza dei fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo al loro primo lavoro; e Land del regista iraniano Babak Jalali. Tutti i lungometraggi sono coprodotti da Rai Cinema.
Il festival è stato aperto ufficialmente dal film Isle of Dogs di Wes Anderson. Il regista statunitense ha partecipato più volte al festival della capitale tedesca, l’ultima volta con il Grand Hotel Budapest (2014). Anche se fuori competizione, notevole il lavoro creativo e sui soggetti, è un film di animazione di ambientazione ultracontemporanea dalle sfumature angoscianti.
Ci troviamo nell’anno 2037: Atari Kobayashi è il figlio adottivo di un sindaco corrotto e senza scrupoli che, a causa di una malattia infettiva – rivelatasi curabile – espelle e confina i cani mettendoli in quarantena su un’isola discarica di rifiuti a causa. Anche l’affezionato cane di Atari, Spots, subirà lo stesso destino: la storia si sviluppa sulla ricerca disperata da parte del bambino.
Tra animali incattiviti dalle condizioni estreme sull’isola, scontri, baruffe, omicidi e tentativi da parte del potente sindaco – rivelatosi nel finale un burattino – di controllare una situazione ormai sfuggita di mano, la storia è un continuo crescendo. Atari troverà la solidarietà da parte di cinque cani che lo scorteranno fedelmente tra le difficili avventure sino ad approdare ad un finale che ritroverà un equilibrio. Notevole, il doppiaggio. Tra i vari nomi, Bill Murray, Jeff Goldblum, Scarlett Johansson, Tilda Swinton, Yoko Ono e Harvey Keitel.
Applausi e tanto entusiasmo per il film italiano Figlia Mia della regista Laura Bispuri, la sua seconda presenza al festival berlinese.
Il film è ambientato in Sardegna e parla di maternità, non solo in senso biologico, ma anche relazionale ed emotivo. Pur essendo un tema ampiamente percorso nella letteratura e in psicologia, come ammesso dalla stessa autrice in conferenza stampa, il ruolo di madre biologica ed affettiva possono non combaciare.
Vittoria (Sara Casu) è una bambina di 10 anni che scopre, grazie ad intuito vivo, l’identità della madre biologica, Angelica, una bravissima Alba Rohrwacher; dunque, di essere stata adottata appena nata. Le due donne si conoscono bene. Vittoria le frequenterà entrambe sino a giungere al momento di una scelta. Tina, la madre affettiva (Valeria Golino), vive drammaticamente la presa di coscienza della bimba, incontrollabile la paura di perderla; mentre Angelica viaggia in un disordine esistenziale: alcolismo, compagnie sbagliate, problemi economici e uno sfratto in fase esecutiva. Nella disperazione, prova a recuperare il rapporto con la figlia non preoccupandosi delle conseguenze che potrebbe causare.
Il dramma, più che da parte della bambina, è percorso dolorosamente dalle due donne, dilaniate dai rispettivi e legittimi egoismi. La storia è interpretata quasi totalmente al femminile, ma riesce con sorpresa a recuperare le figure maschili in modo essenziale e imprevedibile. Umberto, (Michele Carboni) marito di Tina, è un uomo perbene, pacato, che conosce e che riesce a leggere tra le pieghe della vita, così come sa chiedere scusa anche quando nella ragione. A Bruno (Udo Kier) il freddo ruolo – forse inadatto – del tedesco insensibile alle altrui sofferenze.
Il finale è vissuto dallo spettatore con ansia sino all’ultimo, ma recuperato con energia dalla piccola Vittoria. Eccellente la recitazione di Alba Rohrwacher che interpreta il ruolo della donna ai margini della società, così come molto brava la giovanissima Sara Casu. La cornice naturalistica e le bellezze della Sardegna sembrano, infine, indispensabili, è senz’altro la migliore ambientazione possibile.
Due i film favoriti dal pubblico, il toccante film di Gus Van Sant, Don’t Worry, He Won’t Get Far on Foot, prodotto da Amazon Studios e Iconoclast (USA). Tratto da una storia vera, quella di John Callahan interpretato nel film da Joaquin Phoenix, il film getta una luce su due tipi di disabilità: quella auto inflitta, l’alcolismo, e quella funzionale fisica, non curabile, una tetraplegia arrecata da un incidente automobilistico.
Il film scorre tra scene imbarazzanti ed episodi di ubriachezza sino al grave incidente che lo costringerà a vivere su una sedia a rotelle. Abilissimo disegnatore, Callahan troverà nuovi stimoli di vita riuscendo, infine, a superare l’alcolismo, per ironia il suo problema più grave. Il film utilizza pienamente la produzione fumettistica di Callahan divenendone parte integrante: la vena umoristica è il collante che fa uscire il film da schemi banali. Personale e controversa l’interpretazione di Phoenix, è tuttavia una delle sue migliori. Le spigolosità e il carattere insofferente emergono anche in conferenza stampa.
Altro film che ha trovato grande entusiasmo e critiche di pubblico è Touch Me Not della regista rumena Adina Pintilie. In forma mista tra documentario e genere artistico, ha richiesto ben sette anni di preparazione. Con delicatezza è un film che va alla ricerca dei limiti della disabilità, ai confini della sessualità e del desiderio. I veli dell’intimità si squarciano, disabili gravi e persone “normali” sono messe sullo stesso piano. Christian Bayerlein, nel ruolo di sé stesso, nonostante le deformità è meno disabile di quel che appare superficialmente.
Il film è un work in progress nel quale si indaga fino a che punto è giusto spingersi. Laura Benson, ad esempio, non può sopportare di essere toccata e prova, senza successo, un contatto attraverso un ragazzo che si prostituisce. I protagonisti antepongono i propri desideri e i propri limiti – tra finzione e realtà, qui non si riesce tracciare una linea chiara di separazione – esponendosi a persone mai incontrate prima. La cinepresa indugia su dettagli fisici, su reazioni, alcune scene parzialmente velate si svolgono in un club sadomaso.
Tra finzione e realtà, tabù e trasgressione, il limite del film è forse la sua lunghezza, troppo per elaborare contenuti così delicati. Il colore bianco toglie consistenza alla cornice e focalizza lo spettatore sui contenuti, con il rischio si risultare sgradito. Il contributo più vero, appare quello di Christian Bayerlein che freddamente esprime con brutalità l’energia incontenibile della vita. Bella la colonna sonora, spiccano le musiche degli Einstürzende Neubauten, letteralmente “nuovi edifici che crollano”, un gruppo musicale tedesco di genere industrial formatosi nei primi anni ’80 proprio a Berlino e legato al clima culturale della Germania post-bellica.